Giotto di Bondone (Vespignano 1267 circa – Firenze 1337)



Storie di Gioacchino di Sant'Anna e della Vergine; Storie di Cristo; Giudizio Universale; Allegorie (1303-1305 circa)
Affresco
Cappella degli Scrovegni, Padova

Questo ciclo ad affreschi venne realizzato da Giotto tra il 1303 e il 1305 circa e rappresenta il più importante testo figurativo della pittura medioevale italiana. L'intervento ricopre l'intero vano rettangolare della navata. È concepito su tre registri sovrapposti con scene narrative lungo le pareti laterali, i cui riquadri misurano 200x185 centimetri, e una fascia più in basso con una finta decorazione a specchiature marmoree e figure allegoriche di sette Virtù e sette Vizi, contrapposti lungo i due lati dell'edificio. La volta a botte è decorata con un cielo stellato e attraversata da tre fasce due addossate alle pareti trasversali e una che divide nel mezzo il soffitto. Nella metà verso l'ingresso vi è un medaglione con la figura della Vergine e il Bambino posto al centro di quattro medaglioni con profeti, e nell'altra Cristo anch'esso nel mezzo di quattro medaglioni con altrettanti profeti, tra i quali Giovanni Battista. Sulla parete sopra la cappella dell'altar maggiore è raffigurato l'Eterno Padre in una tavola infissa nel muro mentre da ordine all'arcangelo Gabriele di portare l'annuncio a Maria, scena raffigurata subito sotto. Nella parete di fondo la grande raffigurazione del Giudizio Universale. La decorazione si è svolta verosimilmente dall'alto verso il basso secondo un programma iconografico che attinge ampiamente dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze, scritta nella seconda metà del Duecento. In questa impresa pittorica Giotto porta a maturazione il linguaggio del ciclo su San Francesco della Basilica Superiore di Assisi realizzato sul finire del Duecento. Le figure assumono una maggiore consistenza volumetrica e una più evidente connotazione naturalistica, che unitamente all'ampliamento dei registri espressivi contribuisce a caratterizzarle in maniera più individuale. Il loro rapporto con l'ambientazione architettonica si fa più coerente sia in termini spaziali che narrativi, come si osserva anche dall'attenzione posta per l'unità di luogo (stesso edificio in cui si svolgono scene diverse). Innumerevoli sono i brani pittorici in cui Giotto da prova della sua abilità introducendo soluzioni di inedito naturalismo. Seguendo la successione cronologica degli eventi narrati si faranno qui solo alcuni tra i numerosi esempi possibili. Nel riquadro con L'incontro alla porta aurea il vigore volumetrico che caratterizza le figure di Anna e Gioacchino non va a scapito della loro tenera intimità e quasi la rafforza nel racchiuderle in un'unica massa plastica. Più dietro la figura ammantata di nero presenta una straordinaria efficacia espressiva. Nell'Adorazione dei Magi Giotto inserisce dei cammelli che arricchiscono la tradizionale iconografia del tema, una notazione di costume resa più vivace anche dal servo che regge le redini di quello più irrequieto. Nella Presentazione al tempio, di grande dolcezza appare la figura del vecchio Simeone con in braccio un Bambino paffuto e sgambettante, bisognoso della madre che gli protende le braccia. Nel Tradimento di Giuda la resa drammatica della scena è abilmente resa dalla selva di bastoni e torce, dall'accalcarsi delle figure la cui concitazione sembra proseguire oltre i limiti del riquadro con un manigoldo sulla sinistra che strattona il mantello di una figura che non possiamo vedere. Allo stesso tempo l'abbraccio di Giuda isola i due protagonisti della scena al centro, con il bel volto di Cristo contrapposto a quello grottesco di Giuda a stabilire un'equivalenza tra aspetto esteriore e qualità morale. Nella Crocifissione all'efficace resa del corpo esangue di Cristo si somma l'intensità patetica degli angeli oltre che il della Vergine e della Maddalena. Sulla destra si osserva il notevole brano pittorico con la contesa per la veste di Cristo particolarmente apprezzabile nel soldato con l'armatura all'antica e nella veste stessa la cui apertura della testa ne aumenta la percezione fisica e allo tempo stesso la tragica simbologia. Subito accanto nel Compianto sul Cristo morto si ripropone il drammatico lamento degli angeli mentre la roccia scoscesa sullo sfondo guida il nostro sguardo sul fulcro drammatico della scena che vede esprimesi lo straziante dolore di Maria amplificato dal gesto di Giovanni. Sul primo piano le due donne viste di schiena visualizzano il dolore che quasi le pietrifica assimilandole ad oggetti inanimati. Ai lati dell'abside da notare i due finti vani architettonici realizzati dall'artista con un virtuosismo prospettico per l'epoca senza eguali. Egli intendeva probabilmente modificare la percezione spaziale dell'edificio ispirandosi all'originale progetto che doveva comprendere un transetto o una cappella laterale poi non più realizzati. Nel registro più basso si osservano le sette Virtù contrapposte ad altrettanti Vizi in cui si manifesta una straordinaria forza immaginifica e simbolica. Le prime lungo la parete destra sono composte dalle quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) e dalle tre teologali (fede, speranza e carità), fronteggiate su quella sinistra dai loro vizi corrispondenti. In questo modo si formano le coppie oppositive Giustizia/Ingiustizia, Temperanza/Ira, Fede/Idolatria, Prudenza/Stoltezza, Fortezza/Incostanza, Speranza/Disperazione, Carità/Invidia. Quest'ultimo vizio tuttavia non rientra con esattezza in tale logica e questo si spiega molto probabilmente con la natura della committenza. Il padre di Enrico Scrovegni, Reginaldo, verrà infatti ricordato da Dante nella Divina Commedia, che proprio in quegli anni egli stava componendo, collocato nel girone infernale degli usurai. Lo stesso Enrico era dedito alla pratica dell'usura, assai diffusa a quel tempo, ed egli aveva fatto erigere la Cappella anche per cercare di riscattare la memoria del padre insieme alla scarsa popolarità goduta dalla ricca famiglia padovana. Ecco quindi che alla più logica avarizia si sostituisce la più generica invidia. Infine il Giudizio universale collocato sulla controfacciata com'era consuetudine, ad ammonire chi stava uscendo dallo spazio sacro della cappella per ritornare alla vita mondana con tutte le sue insidie. In questa raffigurazione si ritiene generalmente vi sia stato un più esteso intervento dei collaboratori. Di sicura autografia giottesca è il Cristo giudice entro una mandorla iridata, affiancato dagli apostoli sopra i quali vi sono le schiere angeliche, che con i gesti delle mani accoglie la moltitudine dei santi (sopra) e dei beati (sotto) e condanna i malvagi all'inferno. Senza dubbio è poi dell'artista il gruppo in basso con Enrico Scrovegni in atto di far dono della cappella alla Vergine. Un recente restauro condotto tra il 2001 e il 2002 ha rivelato un'inaspettata intensità e raffinatezza cromatica.



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